

Salmo di Natale, Di Sergio e amici di Selvanesco
“La memoria mi riporta a una prima partenza, tempi remoti abitavamo corpi di scimmie, la nostra casa si chiamava Africa.
A gruppi andavamo, guidati dal più sano di corpo e di mente scoprimmo, terra dopo terra, il sapere e il possesso del pianeta.
Chi di noi si ammalava, restava ferito, si rompeva qualcosa veniva lasciato solo a restituire il suo corpo alla terra.
Ma un giorno il Creatore di tutto decise di rivelarsi,
a noi, fedeli gregari di un ciclo di vita: e per parlare scelse la luce. C’era già tanta luce sul mondo, nella terra e nel cielo,
ma non era la luce della vita, era luce del mondo.
La luce del mondo si vede e non si vede, è figlia del tempo
la luce della vita non muore, abita nella sua origine: c’è sempre.
Un giorno, disse: regalo all’uomo un’immagine, uno specchio di me questo dono della vita infinita sarà la tua speranza per sempre,
e chiamerò cuore, amore, la mia casa presso di voi.
Un uomo ferito nel girovagare del gruppo stava per essere lasciato al suo destino di morte, come sempre accadeva.
Dio mise un seme di luce, un lampo nell’occhio del suo compagno gli fece per un attimo vedere il suo volto, poi gli tolse il ricordo. Quella luce infinita intravista era troppo accecante,
gli aloni del ricordo troppo profondi per essere compresi.
Ma l’uomo intuì un qualcosa: quel bagliore è la mia stessa luce, quella che mi fa vivere, che ha generato i miei padri nel tempo. Decise una cosa che la sua grande intelligenza di conquistatore
non aveva mai pensato di fare: mi prendo cura di te, mi prendo cura di me. ‘Avere cura’ fu il primo nome dell”uomo nuovo,
curare e accettare di essere curato la sua indole, fin dal seno della madre. Il creatore guarda e comprende dall’alto, dal profondo i nostri cuori:
vi comunico un solo precetto per conoscere, per essere liberi.
Amatevi l’un l’altro ed entrerete nel segreto
nel segreto della mia infinita presenza senza nomi e senza catene.
Poi, nei secoli provvide amorevole a sussurrargli suoni e parole, quelli che accompagnano la nostra esistenza fin dal grembo materno. Ma rimase in ciascun cuore, in tutti i popoli questo ricordo,
lo sguardo di Dio nell’occhio del fratello.
Da allora la parola dell’uomo nuovo fu chiamata saggezza, quando respira la luce invisibile dell’infinito, la luce che non conosce il tramonto.
Ma gli uomini che non vedono la luce nella notte, non comprendono: son come gli animali che periscono, non tornano più’.”